I relitti navali della zona di Porto Pino

Molto spesso guardiamo ad altre realtà turistiche e ne invidiamo le risorse naturalistiche, archeologiche o storiche. Siamo sempre poco propensi a guardarci intorno e a sfruttare tutto ciò che di bello ci ha lasciato la natura o gli uomini che prima di noi hanno frequentato Porto Pino. Quasi nessuno è al corrente, subacquei inclusi, che esistono numerosi relitti in tutta la zona compresa tra "su Portu de su Trigu" e il Poligono militare. 

Si ringrazia il Dottor Mario Galasso per la disponibilità (anche ad effettuare delle immersioni con la sua equipe) e l'autorizzazione alla pubblicazione integrale dei suoi studi. Per approfondimenti sull'argomento e per la visione delle foto dei reperti e delle mappe consigliamo di visitare il sito  http://www.archaeogate.org/subacquea/pubblic/galasso/rinvenimenti/index.html.

 

Rinvenimenti archeologici subacquei in Sardegna sud-occidentale e nord-occidentale

di Mario Galasso


Atti del Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Anzio,30-31/5 e 1/6/1996), Bari 1997, pp.121-134 (versione mancante di alcune note, precisazioni e tavole).

Pubblicato con cartine e foto col titolo Unterwasserfunde in West-Sardinien in SKYLLIS, (DEGUWA), Rundbriefe 1/1998, Erlangen 1998, pp.18-31; traduzione H.G. Martin (Freie Universitaet Berlin)


RESUME'

L'A. rende compte de reinsegnements et des découvertes dans deux zones distinctes dé la Sardaigne Occidentale: au Sud Ouest, le Golfe de Palmas et au Nord Ouest la zone entre le Cap Marrargiu et le Cap Falcone.

Pour le Sud Ouest de la Sardaigne il s'agit de la mansion d'épaves inédites d'origine africaine ou espagnole, d'epoque romaine et mediévale et, en particulier, d'une pierre taillée rattachée à la pèche au corail, daté de la periode de Haut Empire.

Pour ce qui concerne le Nord Ouest, entre outres reinsegnements l'A. signale une cargaison de blocs de marbre prés de 280 tonnes pour la quelle il propose une datation entre l'epoque claudia et flavia.

Nelle note sottostanti si dà conto dei rinvenimenti effettuati dallo scrivente e delle notizie e segnalazioni raccolte nelle aree sud e nord occidentali della Sardegna nel periodo dal 1989 al 1996 in merito a relitti, giacimenti e reperti isolati (1).

 

1 - Secca di Cala Piombo. Nel tratto di mare compreso tra la sommità della secca a -2 m slm e Cala Piombo, alla profondità di 28 metri di media, cospicua presenza di anfore di vari tipi tra cui, fortemente dominanti, Dressel 8 e Dressel 20 (2). La distribuzione areale delle anfore non permette di identificare due distinti carichi navali, ma ne indica piuttosto uno solo, anche se sparso su di una zona abbastanza ampia di circa metri 50x30.

In particolare, nel corso del 1989 sono state recuperate 62 anfore incomplete di forma Dressel 8. Le stesse, praticamente tutte uguali, risultano costantemente mancanti della parte inferiore. Si tratta, con molta probabilità dello strato o degli strati superficiali, rotti per l'azione del mare e (in parte) dei clandestini.

Confronti possono essere fatti con anfore del relitto della Torre di S. Maria (Capo Corso, Corsica) datate al primo terzo del primo secolo d.C. (Tchernia, 1969, 497-499), con quelle di Lavezzi 2, Sud Lavezzi 2 e con le Camulodunum 186 A, con una cronologia oscillante entro il secondo quarto del 1° sec. d.C., nonchè con quelle di Pinar de Villanueva (Puerto Real, Cadiz), (Beltran LLoris, 1977, 128, fig.22 n°1-4), datate all'epoca claudia.

Contemporaneamente recuperati due lingotti di piombo di sezione trapezoidale delle seguenti dimensioni: lung. cm. 43 e cm.53; base maggiore cm.5; base minore cm. 2 e cm. 3; altezza cm.5 e cm.3 (3). Inoltre due frammenti di ancora in ferro di medie dimensioni concrezionati (4).

Stranamente le Dressel 20 presenti in mezzo al giacimento e frammiste alle Dressel 8 non hanno formato oggetto di recupero, probabilmente perchè tutte rotte e mancanti della parte inferiore del corpo; le stesse sembrano di tipo intermedio tra quelle di Lione, rue de la Favorita (inizi I° sec. d.C.) e quelle del relitto Port Vendres 2 della metà del I°sec. d.C.(5).

Il labbro è emisferico e si nota il caratteristico profondo incavo all'attacco delle anse a sezione circolare. Il quadro presentato qui sopra permette di supporre l'esistenza di un relitto di oneraria che, negli anni a cavallo tra l'inizio del I° sec. d.C. e circa il 50 d.C. (più in particolare verso il 40 d.C.) trasporta salamoia ed olio verso l'Italia, provveniendo dalla Betica, zona di produzione delle suddette anfore, e seguendo una rotta meridionale di avvicinamento ai mercati italiani.

Il fondo marino della zona interessata dal deposito archeologico è costituito da rocce, massi e sabbia con rara Posidonia. Il materiale è sia sepolto nella sabbia sia tra le rocce, ove si presenta sempre frantumato e sconvolto. Non sono stati avvistati resti di scafo, parti lignee o metalliche, probabilmente a causa di totale distruzione dello stesso per il forte moto ondoso che costantemente batte la zona di Teulada.

Tra le costanti Dressel 8 e 20, si avvistano frammenti anforacei di diversa cronologia: da greco-italiche a Gauloise 4, oltre a materiale africano in genere, attestanti una frequentazione del sito dal 3° sec. a.C. al 3° sec. d.C..

2 - Secca di Cala Piombo. Ai piedi della secca a 25 m. di profondità, alla periferia del deposito anforaceo, è stata rinvenuta una grossa pietra calcarea quadrata, di 50 cm. di lato, spessore 14 cm., peso di circa 50 Kg., presentante cinque fori di qui quattro ai quattro angoli di diametro variante tra 4,5 cm. e 5 cm., ed uno centrale (ovalizzato) di diametro 12 cm. per 10 cm. di profondità su di un lato e con una svasatura a circa 60° dall'altro che da 9.5 cm. di diametro interno le fa assumere un diametro di 23 cm. Dalla stessa parte della svasatura, intorno a uno dei quattro fori, si nota una sede circolare ribassata di circa 5/6 cm. di larghezza. La pietra, di superficie grezza anche all'interno dei cinque fori non risulta particolarmente danneggiata da urti o uso (Tav. 2 fig.1-2).

Accanto a detta pietra giaceva una concrezione di ferro abbastanza in buono stato per identificare un grosso anello collegato ad un perno. Concrezioni ferrose sulla pietra attestavano inequivocabilmente il nesso tra massa litica ed anello, che doveva reggere la stessa attraverso il perno passante munito di testa svasata per impedirne la fuoriuscita (Tav. 2 fig. 3).

Ad una distanza di 10 m. circa è stato rinvenuto un anellone di piombo, leggermente ovalizzato, di sezione circolare di diametro medio di 2 cm., di asse maggiore 53.8 cm., e minore 47.5 cm. Non è possibile affermare con certezza il nesso tra i predetti ritrovamenti stante la distanza tra gli stessi (Tav.2 fig.4).

Nel corso degli anni sono state casualmente trovate in mare varie pietre simili, a quanto risulta allo scrivente mai in connessione indiscutibile con relitti o depositi anforacei (6). Anche in tale caso non è possibile affermare se detto materiale facesse parte del carico, anche se propendo per escluderlo, pur essendo saldato un frammento d'anfora Dressel 8 all'anello di sospensione.

Omettendo di commentare i lavori già presentati in passato sull'argomento, di cui in bibliografia, rimando al recentissimo articolo di E. Riccardi che fa il punto della situazione (Riccardi 1996, 200-203 ).

Pare però che in nessun caso le pietre a cinque fori finora pubblicate presentino una svasatura marcata al centro, nè si fa mai cenno del ritrovamento di anelli di sospensione. A mio avviso questo è dato dal fatto che nel caso in esame ci troviamo con certezza di fronte ad un oggetto che doveva essere sospeso, doveva avere qualcosa attaccato ai 4 fori laterali e con tutta probabilità doveva essere calato verticalmente.

Un'ipotesi immediata è che si tratti di un'ancora di pietra, con anello di sospensione in ferro e 4 rebbi nei fori periferici. Francamente sembra una ricostruzione non plausibile: è risultata assente qualsiasi traccia di concrezioni ferrose intorno e dentro i quattro fori perimetrali, come invece per quello centrale, il che farebbe escludere rebbi in ferro. Stante il diametro, l'utilizzo di pioli passanti in legno sembrerebbe anch'esso da escludere per la bassa resistenza dell'insieme alla trazione. Inoltre, i quattro paletti così orientati lavorerebbero male in quanto paralleli alla fune di tiro e perciò rivolti verso l'alto; sarebbe comunque da escludere un fissaggio o prolungamento degli stessi dalla parte opposta perchè totalmente inutili. Infine tale tipologia non risulta nell'arte figurativa antica.

Un'altra ipotesi molto più plausibile è che questo qualcosa fissato ai 4 fori consistesse in due travi collegate alla pietra mediante perni; saremmo in tal caso di fronte a un ingegno per la pesca del corallo. Non a caso ho ritenuto di collegarvi il ritrovamento dell'anellone di piombo molto simile a quello di cui parla Benoit nel suo articolo (Benoit 1961, 407). Un'ipotesi di ricostruzione di tale attrezzo è pertanto la seguente: anello con perno passante nella pietra, alla stessa fissato con testa a tronco di cono; al di sotto 2 travi in legno che potranno essere state collegate alla pietra solo in due modi: a forma di croce di S. Andrea, il che presuppone che al centro in corrispondenza della testa del perno di sospensione vi fosse un'incastro a mortasa tra le due travi, oppure in parallelo l'una all'altra con due perni di giunzione alla pietra per ognuna.

Nel primo caso, l'anello di piombo di mezzo metro di diametro, qualora pertinente all'ingegno, sarebbe stato sospeso all'estremità dei travi (due per trave, quindi quattro anelli), e sarebbe servito per tenere orizzontale e aperta l'imboccatura di un cestello di rete. Questo costituisce il cosiddetto " ingegno chiuso".

E' da precisare che Benoit associa il "suo" anello ad un peso di piombo di forma tronco conica con due passaggi in croce sovrapposti per due travi. Non si può affermare con certezza che nel nostro caso ci sia connessione ma non sono stati finora trovati ingegni di piombo o altri anelli intorno alla secca di Cala Piombo, il che non esclude ovviamente ritrovamenti futuri.

L'altra ipotesi di ricostruzione (due travi parallele) non prevede l'uso dei cestelli alle 4 estremità, e configura un attrezzo trasversale con reti appese per tutta la lunghezza delle travi, come negli ingegni moderni. Tuttavia ritengo questa ricostruzione improbabile, così come presentata, stante la inutilità a mio avviso di una pietra di tale forma per un attrezzo simile (7).

Vi è poi un'altra possibilità: che l'anello di piombo non sia pertinente alla massa litica ed all'anello di sospensione in ferro. In tal caso si potrebbe trattare di parti di due distinti attrezzi per la pesca del corallo: uno. a croce di S. Andrea con semplici spezzoni di rete pendenti dall'estremità delle travi, ed un altro, trasversale, con l'anello di piombo impiegato per reggere un solo cestello di rete.

Tale configurazione è ben evidenziata in un'illustrazione settecentesca (Pivati,1746, Tomo II, Tav. 54) da cui risulta un uso contemporaneo o per lo meno la conoscenza nel XVIII secolo dei due sistemi di raccolta (Tav.3 fig.1). Dall'esame dell'immagine si nota però che il cestello è rappresentato rigido, costituito probabilmente da barre piatte di ferro con rete all'interno, e che la croce di S. Andrea non è fissata ad un peso centrale del tipo qui in esame, ma sembra piuttosto che al di sotto vi sia un'ancora o qualcosa del genere, ad appesantire l'attrezzo ma con dubbia robustezza per l'insieme; le travi appaiono semplicemente sovrapposte tra loro. Ad avviso dello scrivente si tratta di sistemi di pesca tramandati nei secoli con poche varianti, tranne che per la scelta dei materiali utilizzati.

Ritornando alla nostra pietra forata, mentre sono d'accordo con la Frost circa l'utilizzo come ingegno (Frost 1993, 452), altresì concordo con le osservazioni di Riccardi (Riccardi 1996) circa i ritrovamenti effettuati presso la costa e la supposizione che possano essere ipotizzati molti impieghi, ma francamente escluderei ad esempio la pressatura o l'impiego a bordo come bloccaggio di alberatura o altro. Noto che le pietre presentate da Riccardi e le due di Porto Ferro (SS) (Rovina, 1988, 42-43) sembrano diverse da quelle di Cala Piombo per la presenza in quest'ultima della svasatura nonchè per la felice circostanza del ritrovamento dell'anello di sospensione.

Nei casi di cui sopra si può tranquillamente pensare anche ad un verricello (Riccardi, 1996, fig.5, 202), ma ritengo unica alternativa per la pietra di Cala Piombo l'utilizzazione come filiera per grosse funi di uso navale, il che produrrebbe però un canapo a 4 capi francamente un pò troppo grosso; tuttavia tale ipotesi non è da escludere aprioristicamente.

Rilevo che la pietra del Recife des Farrillons e quelle di Porto Ferro non sono state trovate in basso fondale, vicine a riva. Le ultime due vengono legate ad un relitto del 17° secolo e date come filiere. Tuttavia a detta dell'autrice, tutta la zona è disseminata di reperti romani e medievali; si rimane quindi con la curiosità di sapere in base a quali elementi siano stati legati cronologicamente relitto e pietre forate. Anche Benoit dà per moderna la sua, in base alla constatazione della freschezza della superficie dei fori, ma non mi sento tanto sicuro di poter affermare la modernità di tali manufatti senza informazioni più precise circa il recupero degli stessi.

Analizzando il tentativo di ricostruzione dell'ingegno chiuso, così come qui presentato, e cioè anello di sospensione in ferro, peso-zavorra in pietra, travi in legno, cestelli di rete tenuti aperti da anelloni di piombo appesi alle 4 estremità della croce di S. Andrea (Tav.3 fig.2), si nota anzitutto la differenza scalare nella resistenza dei materiali impiegati. Ciò comporta che, nel lento trascinamento dell'ingegno sul fondo marino, i primi elementi a rompersi si suppone siano i cestelli, quindi gli anelli in piombo e poi le travi. Non ritengo che tali ingegni siano stati usati in antico a grande profondità, ma piuttosto in zone circostanti secche intorno alle quali venivano calati a raschiarne le pareti. Ciò comporta un utilizzo di tipo "verticale"; non dimentichiamo che il corallo cresce preferibilmente entro cavità con luce indiretta; un ingegno munito di braccia entra più facilmente a frugare gli anfratti se alato verticalmente.

L'ingegno "aperto" (trave trascinata trasversalmente sul fondale con reti fissate sulla stessa per tutta la lunghezza) pare un'evoluzione del precedente, onde effettuare una pesca di movimento, orizzontale. Inoltre, tornando alla possibilità di un utilizzo dell'anellone di piombo per un tipo di ingegno come descritto nell'illustrazione di cui a tav. 3, ritengo la cosa improbabile: dalla litografia si desume che i pescatori facciano oscillare orizzontalmente l'attrezzo, che sbatte con l'anello contro le pareti di roccia per cercare il corallo nelle cavità. Il piombo è poco adatto alla bisogna perchè troppo malleabile, e nel giro di poche ore sarebbe distrutto o piegato in dentro per gli urti.

Riassumento la questione posso dire che se l'anello di piombo è pertinente, anche se trovato a circa 10 m. di distanza, e la ricostruzione sopra ipotizzata valida, siamo in presenza di un ingegno chiuso di "epoca romana" per la pesca del corallo, a mio avviso non collegabile al relitto del I° sec. d. C.; la nave portava un carico dalla Betica mentre per la pesca in questione si esclude un carico di tale sorta sull'imbarcazione che la effettua.

Il fatto che all'anello di ferro si sia saldato un frammento d'anfora Dressel 8 e che i tre manufatti siano stati trovati in mezzo a rottami anforacei non è molto probatorio; si può eventualmente azzardare una datazione posteriore al relitto stante che frammenti di Dressel 8 erano anche sotto la pietra.

Circa il termine ante quem, sempre che l'anello di piombo sia pertinente, lo stesso costituisce elemento arcaizzante, e si potrebbe azzardare in ipotesi una datazione entro il periodo imperiale; pertanto, il manufatto composito (pietra, anello in ferro, anello in piombo) rientrerebbe nell'intervallo tra secondo quarto del primo secolo d.C. ed almeno terzo/quarto secolo d.C., con termine vago verso il basso, fino a che non emergeranno altri elementi sicuramente datanti. Il termine finale sopradetto è suggerito dalla presenza di ceramiche ed anfore tardo imperiali nella zona della secca di Cala Piombo. Qualora questa ricostruzione fosse da rigettare, si potrebbe invece ritornare all'ipotesi di utilizzo come filiera, ed in tal caso sembrerebbe anche possibile collegarla al carico navale di Dressel 8 e Dressel 20, in quanto potrebbe essere stata stivata a bordo come dotazione di armamento per un utilizzo saltuario in occasione di costruzione di canapi. E' da notare che per tale operazione non è sufficiente la lunghezza della nave ed occorre pensare ad un utilizzo a terra. La datazione da assegnare rientrerebbe così tra primo e secondo quarto del 1° sec. d.C., ed in ogni caso anteriore o contemporanea all'età stimata per il carico , verso il 40 d.C. (8).

3 - loc. Mezzaluna (pressi di Porto Pino). Relitto di imbarcazione lungo m.18-20, a circa 10 metri di profondità, attualmente ricoperto dalla sabbia. Al momento della ricognizione (1989) il fasciame è aperto verso l'esterno; tra le ordinate,i resti di due cassoni (?) in ferro di circa m. 2 x 1 ciascuno, coperti da concrezioni. Carico composto da anfore globulari con anse ad arco di cerchio, di probabile epoca medievale. Il relitto viene periodicamente scoperto dalle libecciate invernali (9).

4 - loc. Est di Porto Pino. Carico navale esteso su una superficie di circa m. 20 x 20, ad una profondità di circa 11 metri, composto da giare ovoidali sprovviste di anse; non è stato avvistato alcun resto dello scafo. Proponibile una provenienza da ambito islamico magrebino/spagnolo di età medievale (10).

5 - loc. Porto Pino. Relitto di oneraria romana alla profondità di 7 metri, in una fossata di m. 60 circa di lunghezza, quasi sempre coperta da alghe morte. Sullo stesso, avvistata una grande cassa sventrata; la poppa è affondata sotto la sabbia e lo scafo è inclinato. Carico costituito da anfore africane databili intorno al 2° sec. d.C.; la larghezza dell'insieme del deposito anforaceo e del relitto è di circa m.10.

Il sig. A.Musu riferisce che nel 1967 recuperò due anfore intere di cui una in pezzi ma ricostruibile, un frammento del dritto di prora lungo m. 1,50 e alcune monete di bronzo; mentre le monete sono andate disperse negli anni, il restante materiale fu consegnato alla Guardia di Finanza di S.Antioco. Conserva tuttavia un collo d'anfora a suo dire proveniente dal sito (11)

6 - loc. Punta Tonnara. Carico navale giacente tra le posidonie alla profondità di 18-23 metri composto da circa 60 giare ovoidali, sprovviste di anse, con piede svasato e corto collo con labbro emisferico, alte cm. 80-90, di diametro massimo circa cm.50; molte risultano ancora tappate. Non si evidenziano resti dello scafo. Circa provenienza e datazione, come per il punto 4 (12).

7 - loc. Guardia de su Turcu. Carico navale alla profondità di 13 metri composto da giare ovoidali senza anse del tipo già descritto ai punti 4 e 6. Il materiale è quasi tutto in frantumi per quanto visibile (13).

8 - Golfo di Palmas, 1 miglio a sud di Porto Pino. Probabile presenza di carico navale a profondità dai 30 ai 50 metri in un'area circoscritta di circa 50 metri. Resti anforacei disseminati, e relitto di aereo imprecisato. Vari recuperi effettuati da pescatori locali (14).

9 - Costa Sud Est di S. Antioco. "Probabile presenza di relitto romano" alla profondità di 12 metri; mancano notizie più dettagliate (15).

10 - Isola La Vacca. Recuperata negli anni '70 un'anfora Dressel 8, mancante di parte del labbro e del piede, da pescatori locali; il reperto è attualmente visibile nell'unico bar della piazza di Porto Pino.

11 - loc. Scoglietti. le Dune. Ancora concrezionata in ferro, alla profondità di 3 metri presso la costa, mancante di ceppo; stelo alto circa m. 2,50 e due marre di circa cm. 50 l'una. Epoca imprecisata (16); per la datazione si propone l'epoca tardo imperiale. Confronto con l'ancora di Villepey, datata all'incirca al III sec. d.C. (17).

                                                                                                                                              

Note:
1) Desidero ringraziare quanti con la loro disponibilità e cortesia hanno permesso il presente lavoro preliminare, sia con l'appoggio ed incitamento, sia con le notizie fornitemi. Tra tutti, i seguenti per la particolare importanza dell'aiuto concesso (in ordine alfabetico): Dr. Roberto Barbieri, Dr. Hélène Bernard (DRASSM), Dr. Graziella Berti, Franco Caneo, Gen. G.d.F. rip. Dr.Pasqualino Carboni, Dr. Giulio Ciampoldrini (Soprint.Toscana), Roberto Coghene, M.llo C.C. Osvaldo Colaci, equipaggio della motovedetta C.C. di Alghero (SS), Dr. Luigi Fozzati (STAS), Dr. Rolando Galligani, Dr. Francesco Guido (Soprint. SS-NU), Prof. Piero Gianfrotta (Univ. Tuscia), Dr. Luc Long (DRASSM), Dr. Fulvia Lo Schiavo (Soprint. SS-NU), Angelo Manca, Luciano Marica, Renzo Mazzarri, Paola Morelli, Antonio Musu, Mario Musu, Prof. Sandra Parlato (Univ. SS), Nicola Porcu, Giampiero Puddu, Sergio Puddu, Dr. Paola Rendini (Soprint. Toscana), Dr. Daniela Rovina (Soprint. SS-NU), Dr. Donatella Salvi (Soprint. CA-OR), Alberto Sechi.

2) Il 20/8/1989 una pilotina dei C.C, di S.Antioco (SS) intercettava un gruppo di sommozzatori mentre emergevano con reperti anforacei. Nei giorni seguenti perquisizioni in alcuni residences di Porto Pino permettevano il recupero di altro materiale di identica provenienza. Per evitare continui ulteriori trafugamenti da parte dei subacquei la Soprintendenza Archeologica di Cagliari concordava un intervento di emergenza da parte del Nucleo Carabinieri Sommozzatori di Cagliari coadiuvati dall'Ispettore onorario Nicola Porcu e dal sottoscritto. Purtroppo non era possibile, stante l'esiguo tempo disponibile per l'intervento, effettuare altro che una rimozione dei reperti superficiali. Il recupero veniva annotato dallo scrivente su planimetria onde salvare le informazioni sull'ubicazione esatta dei reperti.

Due ancorotti a grappino in ferro recuperati nei giorni successivi e non afferenti sicuramente per la datazione al carico navale in questione furono consegnati al sig. Salvatore Loi, consigliere comunale di Teulada, per l'inoltro alle autorità competenti.

3) Sono d'accordo con Donatella Salvi che tende a considerarli come lingotti di appesantimento di ancora piuttosto che come parti del carico. Gli stessi sono privi di bolli o segni particolari e del resto, sono molto più piccoli di quelli facenti parte del carico di altri relitti (ad esempio, Mal di Ventre)

4) Tutto il materiale proveniente dall'operazione di recupero di cui sopra è giacente nei magazzini del Museo Archeologico di Carbonia sotto la generica dizione di "Cala Piombo".

5) Per i problemi di datazione delle Dressel 20, vedi Martin-Kilcher, 1987, nonchè Panella, 1973, 522-535 e la bibliografia indicata negli stessi lavori.

6) Al momento di scrivere questa relazione si ha notizia da L'Archeologo Subacqueo, anno II, n°2 di alcuni studi recentissimi, in corso di stampa, sulla pesca del corallo e relativi attrezzi impiegati in antico, nonchè brevi notizie di ingegni trovati " presso relitti" (testuale). Pertanto si rimanda alla bibliografia indicata da Barbara Davidde, autrice della recensione.

7) Un probabile ingegno inedito di tipo allungato in pietra di dimensioni di circa m.2 x 0.25 x 0.60 è stato recuperato dal sottoscritto nelle acque dell'Isola del Giglio alla fine degli anni ottanta in corrispondenza di un banco di corallo sfruttato intensamente fino al XVIII secolo. L' attrezzo presenta una serie di fori impervi lungo tutto il perimetro ove alloggiare probabilmente perni di legno a cui collegare spezzoni di rete.

8) Quanto sopra scritto vuole essere solo un piccolo contributo non esaustivo per la comprensione di questo enigmatico oggetto, per il quale solo da poco pare si sia risvegliato un certo interesse dopo 35 anni di relativo silenzio. Solo l'associazione certa ad un giacimento archeologico o a un relitto potrà sciogliere i molti dubbi e riserve tuttora esistenti.

9)Il sig. Giuseppe Dessì consegnò nel 1988/89 alla Soprintendenza di Cagliari cinque anfore "di epoca medievale" provenienti da questo relitto, ricevendone premio di rinvenimento; segnalazione ricevuta da Luciano Marica ed altri pescatori locali.

10) Segnalazione ricevuta da Luciano Marica.

11) Segnalazione ricevuta da vari pescatori locali; ricognizioni effettuate con Antonio Musu.

12) Segnalazione ricevuta da Giampiero Puddu

13) Segnalazione ricevuta da Angelo Manca.

14) Segnalazione e localizzazione del rinvenimento ricevute da Luciano Marica.

15) dalla carta nautica Nauticard n° 3224 W che propone un 'area di circa 1 miglio di diametro (sic). In effetti il fondale è disseminato di cocciame concrezionato, del quale è difficile proporre una datazione attendibile. La notizia viene data solo per completezza di esposizione.

16) Un maldestro tentativo di recupero ad opera di locali portò nel 1989 alla rottura della concrezione dello stelo, che raccolto in parte (in due pezzi) e lasciando sul posto il resto dell'ancora fu poi depositato all'ingresso del Camping di Porto Pino da parte delle stesse persone, che provvidero ad informarne i Carabinieri di Giba.

17) Segnalazione ricevuta da Sergio Puddu.